Moshe Feldenkrais (1904-1984)

Nato il 6 maggio 1904 a Slavuta (oggi Ucraina), Moshe Feldenkrais a quattordici anni lascia la casa paterna per trasferirsi con un gruppo di coetanei in Palestina, dove lavora come pioniere costruendo strade e case. Qui impara le arti marziali di autodifesa e il ju-jitsu. Ripresi gli studi in età adulta, nel 1928 è a Parigi, dove si laurea in ingegneria meccanica ed elettrica. Consegue un dottorato in fisica alla Sorbona e collabora come ricercatore del Radium Institut con Frédéric Joliot e sua moglie Irene Curie, premi Nobel per la chimica 1935.
Entrato in contatto con Jigoro Kano, fondatore del judo, consegue nel 1936 una delle prime cinture nere e fonda il primo judo club in Francia. All’invasione tedesca di Parigi nel 1940 si rifugia in Inghilterra, dove lavora per il Ministero della marina britannica. Nel 1951 torna in Israele dove diventa il primo direttore del Dipartimento elettronico dell’esercito israeliano.
Le sue conoscenze scientifiche, la sua formazione nelle arti marziali e i suoi tentativi di risolvere un incidente al ginocchio che gli crea gravi difficoltà nel camminare, lo portano a elaborare un metodo pratico di lavoro sul corpo basato sull’auto apprendimento e sullo sviluppo della consapevolezza. Nel 1949 lo espone in modo organico in un libro rivoluzionario, “Il corpo e il comportamento maturo”. I suoi punti di vista sull’ansia, sulla depressione,  sull’importanza della diramazione vestibolare dell’ottavo nervo cranico sono, oggi, universalmente riconosciuti e accettati.
Dopo anni di lavoro pratico con migliaia di persone, si dedica all’insegnamento del suo metodo in Europa, negli Stati Uniti e in Israele. Tra i suoi allievi: David Ben Gurion, Margaret Mead, Peter Brook, Julius Erwin, Yehudi Menuhin, Leonard Bernstein, Moshe Dayan, Carl Pribram, Jean Houston, Robert Masters. Muore a Tel Aviv il 1 luglio 1984.

Indicazioni bibliografiche

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Titolo originale
"Body and mature behaviour - A study of anxiety, sex, gravitation & learning", © 1949

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Titolo originale
"Awareness through movement", © 1972

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Titolo originale
"The elusive obvious or basic Feldenkrais", © 1981

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Titolo originale
"The potent self - A study of spontaneity and compulsion", © 1985

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Titolo originale
"Body awareness as healing therapy - The case of Nora", © 1993

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Titolo originale
"Embodied wisdom - The collected papaers of Moshe Feldenkrais", © 2010

Piccola raccolta di scritti e interviste

Dall'intervento al convegno di Copenaghen del 1959 organizzato da Gerda Alexander. È Contenuto nel libro "La saggezza del corpo" di Moshe Feldenkrais, edizione italiana Astrolabio.

Il modo in cui la mente e il corpo sono collegati è, per gli esseri umani, oggetto d'indagine da parecchi secoli.
"Una mente sana in un corpo sano" ed altre frasi del genere testimoniano la concezione di una certa forma di unità. Presso altre filosofie, la mente "sana" rende sano il corpo.
Io credo che l'unità della mente e del corpo sia una realtà oggettiva. Non si tratta solo di parti in qualche modo collegate l'una all'altra, ma di un tutto inseparabile al momento del funzionamento. Un cervello senza corpo non può pensare; ridotto ai minimi termini, vi sono funzioni motorie che assicurano il manifestarsi delle funzioni mentali corrispondenti.

Facciamo alcuni esempi per concretizzare questo punto:

1  Impieghiamo più tempo per pensare i numeri da 20 a 30 che da 1 a 10, sebbene gli intervalli numerici fra 1 e 10 siano gli stessi che intercorrono fra 20 e 30. La differenza è determinata dal fatto che il tempo necessario per pensare i numeri è proporzionale al tempo necessario per pronunciarli. Una delle astrazioni più "pure"  il contare  è quindi inestricabilmente connessa con l'attività muscolare attraverso la sua organizzazione nervosa.
In generale, nel caso del contare oggetti, troviamo che gli elementi motori della vista e della parola riducono la velocità del pensiero al proprio livello d'attività. La maggior parte delle persone non può pensare con chiarezza senza attivare le funzioni motorie del cervello quanto basta ad acquisire consapevolezza degli schemi verbali che rappresentano il pensiero. E' certamente possibile, con un allenamento adeguato, inibire parzialmente l'aspetto motorio del pensiero ed aumentare di conseguenza la facilità del pensare stesso.
2  La visione maculare  quella che consente una visione chiara, distinta - è limitata ad una piccolissima superficie. La percezione chiara del contenuto di ciò che vediamo leggendo richiede il tempo necessario ai muscoli della vista per esplorare la superficie esaminata. Constatiamo ancora una volta l'unità funzionale della percezione e della funzione motoria.
Questi esempi indicano come si possano ottenere un aumento della velocità e della chiarezza del pensiero con la riduzione dell'estensione dei movimenti corporei e con un maggiore affinamento delle capacità di controllo muscolare.
Jacobson afferma che, durante il rilassamento muscolare profondo, è difficile, se non impossibile, pensare senza rilevare tensioni in qualche muscolo. Persino visualizzando un oggetto ad occhi chiusi, si può avvertire una tensione dei muscoli oculari.
Osservate parimenti quanto noi conserviamo persistentemente, nel corso della nostra vita, gli stessi pensieri e gli stessi modi di agire; ad esempio, utilizziamo gli stessi schemi di organizzazione dell'apparato fonetico, riproducendo la stessa voce, tanto da poter essere identificati per decine di anni grazie ad essa. Ciò vale anche per la nostra scrittura, i nostri atteggiamenti corporei, ecc; fintanto che non si verificano cambiamenti evidenti in questi elementi, non ve ne sono nelle nostre chiacchiere, nei nostri comportamenti e nei nostri stati d'animo.
Non abbiamo sensazione alcuna delle attività interne al sistema nervoso centrale. Possiamo percepirne le manifestazioni solo nella misura in cui l'occhio, l'apparato vocale, la mobilizzazione facciale e il resto del corpo provocano la nostra consapevolezza. E' questo lo stato di coscienza!
E' quasi fuori dubbio per me che la funzione motoria, e forse i muscoli stessi, partecipino alle nostre funzioni superiori e ne siano parte stessa. Ciò è vero non solo per funzioni superiori come cantare, dipingere e amare, che sono impossibili senza attività muscolari, ma anche per pensare, ricordare e provare sentimenti.
Consideriamo il sentimento in modo più dettagliato. Posso sentirmi felice, arrabbiato, spaventato, disgustato. Mi sento leggero, la mia respirazione è distesa, il mio viso è sul punto di sorridere  mi sento allegro. Il mio atteggiamento motorio è molto diverso quando mi sento disgustato  in quel momento il mio viso è quello di un uomo che ha appena vomitato o sta per farlo. Contraggo la mascella inferiore, i pugni, la mia respirazione è incompleta, dal ritmo accelerato, gli occhi e la testa si muovono a scatti, il collo si irrigidisce  sono in collera e pronto a picchiare, ma cerco di non lasciarmi trasportare. Se sono arrabbiato, gemo, cerco di andarmene oppure sono completamente rigido.
Di solito vi è dunque uno schema motorio sufficientemente chiaro, anche per una valutazione oggettiva dell'intensità di ciò che avverto. Che cosa sopraggiunge per primo lo schema motorio o il sentimento? Questo problema ha dato luogo a numerose teorie celebri. Da parte mia, sostengo che essi costituiscono fondamentalmente un'unica funzione. Non possiamo diventare consapevoli di un sentimento prima che questo sia espresso da una mobilizzazione motoria, perciò, non c'è sentimento fino a che non c'è atteggiamento corporeo.

Il comportamento di una persona può essere cambiato attraverso due direzioni principali: tramite la psiche o tramite il corpo. Tuttavia, un cambiamento reale deve verificarsi in modo tale da permettere al corpo e alla psiche di modificarsi simultaneamente. Se l'approccio non è globale ma separato, tramite la psiche o tramite il corpo, il cambiamento persisterà fintanto che la persona ne è consapevole e non ha ripreso i suoi schemi abituali e spontanei. E' tuttavia possibile, esplorando la propria immagine corporea, individuare il ritorno della funzione muscolare non voluta ma abituale, un po' prima che si verifichi; si può allora sia inibirla che facilitarla con un atto di volontà.
Il vantaggio dì affrontare l'unità mentecorpo tramite il corpo consiste nel fatto che l'espressione muscolare è più semplice perché è concreta e più facile da localizzare. Inoltre, è incomparabilmente più facile rendere una persona cosciente di ciò che accade nel suo corpo, e quindi l'approccio corporeo dà risultati più rapidi e più diretti. Agendo sulle parti significative del corpo, come gli occhi, il collo, la respirazione o il bacino, è facile provocare immediatamente modificazioni d'umore sorprendenti. In tal senso ho ottenuto risultati chiari con una tecnica di gruppo che può essere affrontata anche in forma individuale.

Alcuni esempi potranno essere utili.

Il signor B. era in un'istituzione psichiatrica da 3 anni. Era stato sottoposto ad analisi e, successivamente, a trattamento con elettrochoc. Lasciò l'istituzione quando non vi fu più ragione di prevedere ulteriori miglioramenti. Quando fu rieducato con il nostro metodo, unicamente per fare qualche movimento respiratorio più o meno normale, sognò di trovarsi nel suo bagno, che i muri cadessero improvvisamente e di trovarsi esposto agli occhi di spettatori. Questo sogno si ripeté per dieci notti consecutive finché non si verificò un cambiamento completo nella respirazione. Il comportamento di questa persona subì allora un cambiamento notevole e benefico, precursore di altri miglioramenti.
Il professor Z., che è stato uno dei primi psichiatri ad associarsi al mio metodo, ha pubblicato il caso straordinario d'un paziente di uno dei suoi reparti per il quale non si era riusciti a trovare alcun filo conduttore con un centinaio di sedute di psicoterapia. Dopo una riunione settimanale dell'équipe medica si e suggerito l'approccio somatico. La persona è stata collocata in posizione embrìonale e si è ottenuto un certo grado di rilassamento e di miglioramento della respirazione. Dopo quattro sedute si era ottenuto un numero sufficiente di informazioni significative, tali da consentire che il trattamento potesse svolgersi in modo ben definito. Questo esempio mostra come, allo scopo di fare una diagnosi, il considerare l'unità della mente e del corpo e il lavorare sul corpo forniscano una nuova prospettiva che rivela la presenza di rapporti tra fatti apparentemente senza alcun legame.
La vecchiaia, ad esempio, comincia con la limitazione  che noi stessi ci imponiamo - di non formare più nuovi schemi di organizzazione corporea. Dapprima si selezionano atteggiamenti e posture corrispondenti a una certa dignità e quindi si respingono certe azioni, quali sedersi per terra o saltare, che ben presto diventano impossibili a farsi. Il riprendere e reintegrare anche azioni così semplici ha un effetto pronunciato di ringiovanimento non solo sull'aspetto meccanico del corpo, ma sulla personalità nel suo insieme.

Esaminando i corpi di parecchie migliaia di persone prima e durante la rieducazione, ho scoperto che vi sono alcune norme per la definizione di salute e di normalità. In particolare ho osservato la distribuzione del tono nei corpi di queste persone. Benché sia difficile esprimere completamente questi concetti di salute e di normalità in poche parole è comunque possibile indicarne i principi generali.
Ad esempio, la testa non deve avere alcuna tendenza a muoversi in particolari direzioni. La testa "normale" dovrebbe avere un accesso agevole in tutte le direzioni dell'ambito anatomicamente possibile dei movimenti. Infatti, il fattore di limitazione dei movimenti del corpo dovrebbe generalmente essere la struttura scheletrica e non la tensione muscolare. In realtà, l'adulto non utilizza che una parte delle possibilità teoriche della struttura umana.
In un contesto di "buona salute" i movimenti coordinati del corpo nel suo insieme obbediscono anche al principio meccanico di azione minima, il che significa che i muscoli sono destinati a lavorare in sincronismo e a realizzare i loro compiti con il minimo dispendio di energia metabolica. In vista di questi principi che guidano le operazioni della struttura umana nel suo insieme, si può decidere fra comportamento normale o anormale.
Per permettere che queste regole di normalità siano universalmente applicate, dobbiamo considerare gli esseri umani nella loro globalità. Una persona e fatta di tre entità: il sistema nervoso, che è il nucleo; il corpo  scheletro, visceri e muscoli  che è il rivestimento del nucleo; e l'ambiente, che è lo spazio, la gravitazione e la società. Questi tre aspetti, ciascuno con il suo supporto materiale e la sua attività, danno insieme un'immagine attiva dell'essere umano.
Fra il nucleo (il sistema nervoso) e il mondo fisico esterno, o anche l'ambiente sociale vi è una relazione funzionale. Tale relazione può anche essere più stretta e più vitale che non quella esistente fra alcune parti adiacenti del sistema nervoso stesso. Si pensi per esempio, a coloro che vanno deliberatamente alla morte allo scopo di difendere un ordine sociale stabilito. In questo caso i legami di un sistema nervoso a un ordine sociale possono essere più forti di quelli esistenti con il suo stesso corpo, tanto che certi individui sacrificano le prime due parti di se stessi al fine di preservare la terza. Voler portare un cambiamento nel comportamento di una persona e trascurare, anche per un momento, una delle sue tre componenti esistenziali sarebbe ignorare la realtà.
Il sistema nervoso è in relazione con il corpo attraverso i nervi e la chimica ormonale e con il mondo esterno attraverso le terminazioni nervose e i sensi, che danno informazioni sulla posizione nello spazio, sul dolore, sul tatto e sulla. temperatura. Il sistema nervoso non ha percezioni dirette dell'ambiente esterno. Ciò significa che la distinzione fra sé e il mondo esterno è una funzione che deve essere sviluppata o appresa. Lentamente, gradualmente, il sistema distingue i segnali d'informazione provenienti dal corpo da quelli provenienti dall'esterno e riconosce la provenienza di ciascuno.
Lo sviluppo di questo processo conduce a una distinzione sempre più chiara fra i segnali provenienti dal sé (il corpo) e quelli provenienti dal mondo esterno  i primi si riconosceranno come "io" e questi ultimi come "nonio": è l'inizio della coscienza. Imparando a riconoscere come è orientato il nostro corpo, impariamo a conoscere noi stessi. La realtà soggettiva e oggettiva sono dunque organicamente dipendenti dagli elementi motori (i nervi, i muscoli e lo scheletro), i quali sono orientati dal campo gravitazionale in rapporto al quale reagiscono.
La gravità è un aspetto primario della realtà e gioca un ruolo importante nella costituzione della nostra normalità. Ma noi siamo cosi abituati al campo gravitazionale che dobbiamo impararne l'esistenza stessa. Ciò vale anche per la coscienza, che è continua fintanto che non vi è interruzione delle informazioni d'orientamento corporeo. Non ci si può rendere conto di quanto tale orientamento corporeo sia in relazione organica con la coscienza che nel momento in cui avvengono rotture nella connessione. Quando riprendiamo coscienza dopo uno svenimento o un'anestesia, il primo pensiero è "dove sono?”. Quando avviene un'interruzione nella sequenza delle informazioni di orientamento, non troviamo la tappa seguente che ci si attende, c'è una momentanea lacuna di coscienza. La scossa è così violenta che per un istante perdiamo la capacità di orientarci.
Il termine orientamento viene qui utilizzato nel senso più ampio, comprendente la distinzione fra "io" e "nonio" nell'ambito sociale, con tutte le sue ramificazioni. Gli atteggiamenti di sottomissione, di arroganza, d'importanza o di insignificanza si vedono più chiaramente nello scheletro che in qualsiasi altra parte. Si apre un campo d'indagine immenso una volta che i legami organici dell'orientamento sociale siano non solo di seguire lo sviluppo individuale o le anomalie attraverso il corpo ma anche attraverso gli atteggiamenti dettati da più ampie differenze culturali e razziali. Ne sono esempi l'introversione, il non attaccamento e l'indifferenza degli Indù, con la corrispondente scioltezza delle anche e l'atteggiamento estroverso, sempre sulla breccia, teso al successo, delle nazioni industriali, con la corrispondente incapacità a sedersi con le gambe incrociate. Certamente, per diventare agili e riportare le proprie anche alla norma bisogna dedicarvi tempo, osservarsi, abbandonare qualcosa, staccarsi da qualcosa.
Nell'essere umano, un'azione "normale" può essere o incosciente e automatica o pienamente cosciente e riconosciuta come tale. Quasi tutta l'attività di origine filogenetica nella specie umana è comune a tutto il mondo animale. Questa attività diventa sempre più complessa o cosciente a livello dei rami superiori dell'albero dell'evoluzione. Tuttavia, l'attività acquisita filogeneticamente e sempre espressa in termini astratti e, da quel momento, non è più modificabile, non essendovi possibilità di incidere su un'astrazione. D'altro lato, l'azione acquisita individualmente (ontogenetica) rientra nell'ambito delle sensazioni. Una simile azione può essere modificata o appresa in quanto si può prendere coscienza di differenze reali, come l'importanza dello sforzo, la sua coordinazione nel tempo, la sensazione corporea, la configurazione dei segmenti del corpo nello spazio, l'atteggiamento in piedi, la respirazione, l'espressione verbale, ecc.
Questo genere di apprendimento in piena coscienza è terminato quando il nuovo modo d'azione diventa automatico o persino incosciente, come lo diventano tutte le abitudini. Il vantaggio di un'abitudine acquisita con la presa di coscienza è che, se il confronto con la realtà si rivela inadeguato, si induce facilmente una nuova presa di coscienza in modo da compiere un nuovo cambiamento più efficiente.
E' mia convinzione profonda che, proprio come l'anatomia ci ha aiutato ad acquisire una coscienza intima del funzionamento del corpo e la neuroanatomia una comprensione di talune attività della psiche, così la comprensione degli aspetti somatici della coscienza ci permetterà di conoscerci più intimamente. La tensione è autodistruttrice. In futuro, dovremmo essere capaci di dirigere le forze che provocano la tensione non solamente per rimuoverla ma allo scopo di migliorare il funzionamento umano.

Nell'insegnamento individuale uso le mani per ottenere l'allineamento desiderato dei diversi segmenti del corpo. E' difficile descriverne gli effetti, ma posso dame un'idea.
Non tratto mai la parte o l'articolazione del corpo colpita prima di aver indotto un miglioramento nel rapporto testacollo e nella respirazione. A sua volta, tale miglioramento non avviene se non si corregge la configurazione della colonna e del torace. Per far questo è di nuovo necessario correggere il bacino e l'addome. In pratica, il procedimento consiste dunque in una serie successiva di aggiustamenti, ciascuno dei quali consente un ulteriore miglioramento del segmento appena trattato.
Prima di usare questa tecnica bisogna provarla su di sé per ottenere la delicatezza di tocco necessaria e la sensazione precisa di quale gruppo o segmento muscolare richieda attenzione per primo e quale non la richieda affatto.
Migliorando il rapporto colonnatesta, di solito scompare o si riduce in buona parte anche il problema di natura periferica, tanto che con pochissimo lavoro in periferia si riesce a ricondurne il funzionamento al livello del resto del corpo.
Insisto con 30/40 sedute, una al giorno, e procedo quindi con due o tre sedute alla settimana finché non scompare il disturbo più grave. Di solito, nel cinquanta per cento dei casi circa, i dolori e l'incapacità di usare una parte del corpo scompaiono prima che si concludano le sedute quotidiane.
Inizio facendo sdraiare la persona sul dorso. Tale posizione ha lo scopo di ridurre in buona parte l'influenza della gravità sul corpo, in modo da liberare il sistema nervoso. La reazione del sistema nervoso alla forza di gravita è un’abitudine e in tali circostanze non è in alcun modo possibile portare i muscoli a rispondere diversamente allo stesso stimolo, che è il miglior mezzo per rieducare il corpo. Ovviamente, è difficile ottenere vere e proprie modifiche del sistema nervoso senza ridurre o eliminare l'effetto della gravità.
A tempo debito raggiungo le persone mediante l'uso di trenta situazioni corporee diverse: l'andare verso la posizione seduta, lo stare in piedi, il cammino e l'equilibrio su due rulli di legno. Ulteriori dettagli sul lavoro individuale si chiariranno con la descrizione delle tecniche di gruppo.

Un gruppo è formato da 30/40 persone, comprese fra i 15 e i 60 anni e anche oltre. Ad esempio, un certo gruppo a cui ho insegnato era costituito da uomini e donne che soffrivano di sciatica, di ernia del disco, blocco delle spalle e disturbi simili. La maggior parte dei componenti del gruppo aveva più di 35 anni e portava il busto ortopedico da molti anni. Altri gruppi possono essere formati da insegnanti, attori, cantanti, ballerini, ecc.
Per prima cosa chiedo alle persone di sdraiarsi sul dorso (in base allo stesso principio di ridurre l'effetto della gravità) e di imparare ad ascoltarsi. Vale a dire che esse esaminano attentamente il contatto del proprio corpo con il pavimento e imparano gradualmente a individuare le differenze significative  i punti in cui il contatto è debole o inesistente e altri in cui è completo e distinto. Questo tipo di insegnamento sviluppa la consapevolezza della collocazione dei muscoli che hanno un contatto debole mantenendo costantemente una tensione eccessiva e quindi alcune parti del corpo staccate da terra. E' possibile ottenere una certa riduzione della tensione tramite la sola presa di coscienza muscolare, ma al di là di ciò non si può realizzare alcun miglioramento nella vita normale se non potenziando la propria consapevolezza dello scheletro e del suo orientamento. In questo caso le articolazioni più difficili sono quelle delle anche. Nelle culture occidentali la consapevolezza della collocazione e della funzione di tali articolazioni è inesistente rispetto a quanto si riscontra presso le popolazioni che siedono per terra invece che sulle sedie. Le persone che stanno su una sedia a rotelle sbagliano quasi sempre nel localizzare le articolazioni delle anche. Inoltre, esse fanno un uso scorretto delle gambe, come se fossero articolate in punti immaginari dell'immagine corporea e non dove lo sono realmente.
Di solito chiarisco che l'elemento centrale del mio lavoro consiste nel portare alla consapevolezza nell'azione o alla capacità di prendere contatto con il proprio scheletro e muscoli e con l'ambiente, praticamente insieme. Non si tratta di "rilassamento", in quanto il rilassamento vero e proprio può essere mantenuto solo quando non si fa niente. Lo scopo non è il completo rilassamento, bensì un uso sano, possente, facile e piacevole. La riduzione della tensione è necessaria in quanto ogni movimento valido dovrebbe essere privo di sforzo. L'inefficienza è avvertita come sforzo e impedisce di fare di più e meglio.
La riduzione graduale dello sforzo inutile è necessaria per aumentare la sensibilità cinestetica, senza la quale la persona non può autoregolarsi. La legge di FechnerWeber lo dice chiaramente. Questa legge afferma che per un'ampia gamma di sensazioni ed attività dell'uomo la diversità di stimolo che produce la minima diversità di sensazioni percepibile ha sempre lo stesso rapporto proporzionale con l'intero stimolo. Ad esempio, se reggo un peso di 20 libbre non posso percepire una mosca che vi si poggi sopra, in quanto la diversità di stimolo minima percepibile è compresa fra 1/20 e 1/40 e, pertanto, per percepire la variazione, è necessario aggiungere o sottrarre dal peso almeno mezza libbra. Se tengo in mano una piuma, il peso di una mosca costituisce invece una grossa differenza. Appare dunque ovvio come per poter distinguere variazioni nell'uso è innanzi tutto necessario ridurre l'uso. Si possono ottenere risultati sempre più precisi solo se la sensibilità, vale a dire, la capacità di percepire la differenza, viene migliorata. Per questo motivo il lavoro di gruppo inizia con piccole scoperte nella consapevolezza muscolare.
Altra importante caratteristica del lavoro di gruppo è la continua novità di situazioni mantenuta per tutta la durata del corso. Una volta svanita la novità, la consapevolezza si offusca e non avviene alcun apprendimento. Se una configurazione richiede di essere ripetuta, la ripropongo in decine, centinaia di varianti finché tutte sono note alla perfezione.
Tutti gli esercizi sono organizzati in modo tale da indurre, alla fine della lezione, un cambiamento netto nella sensazione e, il più delle volte, un effetto più o meno durevole. Ciò consente agli allievi di scoprire i rapporti fra le diverse parti del corpo, ad esempio fra la scapola sinistra e l'articolazione dell'anca destra, oppure fra i muscoli degli occhi e la punta delle dita dei piedi.
Per ottenere l'atteggiamento mentale necessario a ridurre gli sforzi inutili il gruppo viene ripetutamente incoraggiato a fare un po' meno bene del possibile, nel cercare di essere meno veloce, meno forte, meno aggraziato, ecc. Spesso si chiede alle persone di fare del proprio meglio e quindi, deliberatamente, di fare un po' meno. Ciò è più importante di quanto non sembri. Infatti, se viene messo in grado di percepire il progresso in uno stato di non tensione, l'allievo ha la sensazione di poter far meglio, il che induce ulteriore progresso. Con tale atteggiamento della mente e del corpo si possono ottenere in venti minuti risultati che richiederebbero altrimenti parecchie ore di lavoro.

Un particolare rilievo meritano alcuni movimenti molto piccoli, appena percettibili, di cui faccio ampio uso. Essi riducono in modo straordinario la contrazione involontaria dei muscoli; ad esempio, in pochi minuti, lavorando su un braccio o su una gamba, si riesce a farlo percepire più lungo o più leggero dell'altro. Dopo la lezione gli allievi mantengono la percezione del nuovo modo di agire, e alla sensazione dell'arto più leggero e più lungo si contrappone in continuazione quella dell'altro che viene avvertito come goffo e impacciato al confronto.
Molto spesso nel corso di una lezione si lavora su una sola metà del corpo, la destra o la sinistra, mentre l'altra viene lasciata tale e quale. Anche in questo caso gli allievi recano con sé due diversi standards del proprio corpo  quello abituale e quello migliore che viene loro proposto. Continuano ad avvertire la differenza finché il lato più goffo si distende. In tal modo essi imparano a lasciarsi andare, per così dire, dall'interno. Ciò favorisce il passaggio dell'apprendimento dall'azione su cui si è lavorato ad altre azioni, completamente diverse. Il trasferimento di apprendimento è sostanzialmente personale e differisce da un individuo all'altro. Qualcuno può avvertire il cambiamento nel parlare, altri nel modo di prestare attenzione o di osservare.
Altro principio della tecnica di gruppo è l'analisi dell'immagine corporea, che viene compiuta in due modi paralleli. Il primo consiste nell'indurre una sensazione di lunghezza, ampiezza e leggerezza in un lato del corpo muovendolo realmente, come abbiamo appena spiegato. L'altra metà del corpo viene portata a percepire la stessa sensazione con la semplice analisi mentale. L'analisi mentale consiste nell'ascoltare e acquisire consapevolezza della diversità di sensazioni della memoria motoria dei muscoli nelle due metà del corpo e della sensazione di cambiamento dell'orientamento nello spazio.
Un secondo modo consiste nell'analizzare il corpo da entrambi i lati sin dall'inizio, rivolgendo l'attenzione alla percezione delle distanze fra diverse parti del corpo da entrambi i lati, finché tali percezioni corrispondono alla differenza vera e propria.
Un altro momento della lezione si concentra invece sul miglioramento dei movimenti volontari. In tutti gli atti volontari due fasi si susseguono così rapidamente che è difficile percepire il lasso di tempo che intercorre fra l'una e l'altra. La fase preparatoria è la mobilizzazione dell'atteggiamento corporeo necessaria per compiere l'azione. La seconda fase è il compimento dell'azione. Dal momento che vi è un intervallo di tempo minimo fra queste fasi è possibile imparare ad inibire o a potenziare per scelta la mobilizzazione preparatoria. Quando vi è scelta, possiamo o completare l'azione o impedirla e annullare così l'intero atteggiamento preparatorio. Nel gruppo, lavoriamo per chiarire il lasso di tempo fra l'atteggiamento preliminare all'azione e il suo compimento. Tale chiarificazione o consapevolezza migliora la scioltezza e il controllo volontario dei movimenti.
Molti esercizi utilizzano l'induzione, sia positiva che negativa, cioè gli effetti che si verificano a seguito di sforzi sostenuti e prolungati. Ad esempio, mettetevi in piedi con il lato destro vicino alla parete e premete contro di essa con il dorso della mano come per spingerla lontano. Dopo aver mantenuto questa pressione per un minuto circa, fermatevi.
Lasciate quindi il braccio destro libero di fare quel che vuole, si alzerà arrivando fino all'altezza della spalla con una leggerezza particolare, quasi galleggiasse. Se abbassate volontariamente il braccio e lo lasciate nuovamente libero, la stessa cosa si ripeterà parecchie volte, ma con intensità decrescente. Questo esercizio mostra come lo sforzo sostenuto possa indurre il movimento quando cessa lo sforzo.
Qualunque sia l'esercizio o il principio utilizzato, la lezione viene organizzata in modo tale che senza concentrazione, senza cercare di percepire le differenze, senza una reale attenzione gli allievi non possono passare allo stadio successivo. La ripetizione, nel senso di ripetizione meccanica senza attenzione viene scoraggiata, resa impossibile di fatto. Molti esercizi consistono nel concentrarsi sui mezzi con cui raggiungere uno scopo piuttosto che sullo scopo in sé, che è un modo importante per ridurre la tensione. Tutti questi esercizi mirano a conseguire coordinamento mentale e fisico e in particolare una buona postura eretta e un corretto modo d'agire.

Non vi è niente di più semplice della postura eretta e postura eretta significa: allineamento verticale. Ma tutti i termini di questo genere, compreso "postura", implicano qualche cosa di rigido e di statico. E, effettivamente, è vero che poche persone fanno onore alla flessibilità del proprio corpo. Un esame attento mostra chiaramente che la postura eretta è in realtà dinamica, con un costante assestamento della struttura corporea piuttosto che staticamente fissa.
Il vantaggio reale della postura eretta è la facilità di ruotare intorno alla verticale, cioè da destra a sinistra o in senso opposto. Questa rotazione allarga l'orizzonte umano ed è anche il movimento naturale più frequente della testa. Durante l'evoluzione della struttura umana, l'uso più sistematico della testa è stata la sua rotazione verso la fonte di uno stimolo esterno. I sensi localizzati a livello della testa sono tutti organi doppi la vista, l'udito, l'odorato. Infatti, per precisare la collocazione esatta dello stimolo, sono necessarie due fonti d'informazione. Così, ad esempio, la testa ruota verso una sorgente sonora in modo che le due orecchie siano parimenti stimolate. La testa ruota anche per trovarsi di fronte a uno stimolo visivo. Le retine sono collegate internamente in modo tale che quando guardiamo l'oggetto frontalmente sono stimolate allo stesso modo, mentre all'inizio della stimolazione una lo era più dell'altra. Lo stesso avviene per gli odori, anche se in tal caso le informazioni di distanza e direzione sono molto più grossolane.
Si vede dunque come, al di là di quanto possa essere esplorato con il tatto, la relazione con qualsiasi cosa esterna è determinata dal movimento della testa. Ogni informazione proveniente dallo spazio intorno a noi passa attraverso la testa. E, più di ogni altra cosa, sono i nostri rapporti con il mondo che ci circonda a influenzare la qualità del movimento della testa.
Numerosi meccanismi del sistema nervoso organizzano queste funzioni elementari di legame con l'ambiente; così che quando uno degli organi doppi è stimolato, la testa ruota finché ci troviamo di fronte alla sorgente della stimolazione. La testa è ruotata sulla colonna cervicale e la torsione allunga la pelle, i muscoli e i tendini del lato sinistro del collo quando giriamo verso destra e viceversa. L'allungamento o lo stiramento di una fibra comprime una fibra nervosa interna e tale stimolazione è alla base dell'organizzazione del corpo, che è allora pronto a seguire la testa ed a girarsi nella direzione del cambiamento avvenuto inizialmente nell'ambiente. Quando il corpo segue la testa, la torsione del collo si annulla, le fibre nervose intramuscolari cervicali non sono più compresse e il corpo non ha quindi più bisogno di ruotare.
Come la zona cervicale, o della nuca, la regione bassa della colonna vertebrale è in grado di ruotare attorno all'asse centrale. La rotazione del resto della colonna è, in confronto, più ridotta. Nelle due regioni superiore ed inferiore della colonna, alcune fibre nervose trasmettono la rotazione della testa ai centri superiori, che in tal modo constatano come il corpo sia organizzato per poter girare, diminuire la torsione e trovarsi in posizione frontale nella stessa direzione della testa.
Nella maggior parte delle persone, la testa indica nettamente con quali zone dello spazio circostante esse hanno pochi contatti. E il portamento della testa è caratteristico del mantenimento complessivo e dei modi d'agire di ogni persona.
Un altro aspetto della postura eretta è che essa è una proprietà biologica della struttura umana; non vi dovrebbe essere sensazione alcuna di azioni, contegno o sforzi di qualsiasi genere. Ad esempio, il peso della mascella inferiore con tutti i suoi denti è considerevole e, tuttavia, abbiamo qualche difficoltà nell'acquisire coscienza che facciamo qualcosa per mantenere alzata la mascella inferiore. Lo stato normale dei muscoli della mascella inferiore è una contrazione pari alla forza gravitazionale che agisce su di essa. I movimenti volontari sono ottenuti con una aggiunta o una deduzione a questa contrazione permanente. I muscoli della mascella inferiore, come la maggior parte dei muscoli dello scheletro, ricevono ordini sotto forma d'impulsi scaturiti da più di una fonte. Lo star su è assicurato nel sistema nervoso da meccanismi antigravitazionali e non vi è sensazione di azione, né di sforzo, fintanto che il messaggio ai muscoli proviene dai centri inferiori.
Nei muscoli cervicali avviene la stessa cosa. Malgrado il peso della testa e il suo centro di gravitazione situato davanti alla colonna vertebrale, non c’è sensazione d'azione, né di sforzo nel mantenimento della testa. Ciò è dovuto alla contrazione considerevole di alcuni muscoli per mantenere la testa ritta. L'intero corpo è trattenuto nella caduta in avanti dai muscoli del polpaccio, ma noi non sentiamo alcuno sforzo. Ancora una volta queste interrelazioni provano che la postura eretta non è uno stato statico, ma un'attività dinamica.
La postura reale è sempre il risultato di ciò che la struttura farebbe tramite i meccanismi specifici e di ciò che abbiamo appreso a fare adattandoci al nostro ambiente sociale e fisico. Il problema è che buona parte di ciò che abbiamo appreso è nocivo per il nostro sistema, in quanto è stato appreso nell'infanzia, in un momento in cui una dipendenza immediata dagli altri deformava i nostri bisogni reali. Un’azione abituale da molto tempo è avvertita come corretta, ma la nostra impressione è poco attendibile finché non abbiamo rieducato il nostro senso cinetico sulla base di norme corrispondenti a realtà verificate. Come si può realizzare questa rieducazione? Innanzi tutto dobbiamo percepire i benefici dei miglioramenti per decidere di dedicarle tutto il tempo necessario. Ma il beneficio non può essere immaginato fintanto che il miglioramento non e stato avvertito, cosicché all'inizio dobbiamo semplicemente provare per curiosità. Le persone la cui vitalità è a un livello molto basso non proveranno e neanche Dio potrà aiutarle.
Il corpo dovrebbe essere organizzato in modo da poter cominciare qualsiasi movimento  in avanti, indietro, a destra, a sinistra, in su, in giù, o ruotare a destra o a sinistra - senza aggiustamento preliminare dei segmenti del corpo, senza una repentina modificazione del ritmo respiratorio, senza stringere la mascella inferiore né contrarre la lingua, senza alcuna tensione percettibile dei muscoli del collo e senza bloccare lo sguardo. Quando il corpo e organizzato in questo modo, la testa non viene tenuta fissa, è libera di muoversi facilmente in tutte le direzioni senza aggiustamenti preliminari. Se queste condizioni sono mantenute durante un'azione, persino il fatto di sollevare il corpo non è avvertito come sforzo. A riprova di ciò, piegate lentamente l'indice destro e avvertite la sensazione di facilità, di non sforzo. Piegate quindi lentamente il polso  lo sforzo è pari a quello di piegare il dito. Piegate ora il gomito oppure alzate lentamente il braccio o alzate o abbassate la testa o il tronco. In ciascuno di questi casi la sensazione di sforzo è pari a quella avvertita nel piegare l'indice, ma il lavoro effettuato per alzare il dito è circa 100 gr./cm., quello per il polso 1000 gr./cm., quello per il tronco 500.000 gr./cm. Effettuando i movimenti, la sensazione di sforzo non aumenta in proporzione al lavoro effettuato, ma indica il grado di organizzazione che produce lo sforzo. Questa organizzazione corrisponde alla struttura del corpo. La dimensione e la potenza dei muscoli aumenta dalla periferia, come nel caso delle dita, verso il centro del corpo. Da quel momento, il tasso di sforzo è uguale in tutte le parti al lavoro. Alzare o abbassare il tronco sollecita i muscoli del bacino (come i glutei e i muscoli delle cosce con le loro enormi sezioni) nella stessa proporzione in cui sono sollecitati i muscoli impiegati nei movimenti delle dita.
In conclusione, la conoscenza di sé attraverso la presa di coscienza è l’obiettivo della rieducazione. Quando noi diventiamo coscienti di ciò che facciamo realmente, non di ciò che diciamo o crediamo di fare, si spalanca davanti a noi la via del miglioramento.
Nell'ambito del tema corpomente, un vasto campo è stato lasciato inesplorato, ma è stato trovato un utile punto di partenza che fornisce i mezzi per ottenere notevoli cambiamenti nel comportamento. Non vi può essere alcun miglioramento senza cambiamento. Anche se si può sempre fornire aiuto nel momento in cui le cose vanno male, noi non possiamo, tuttavia, smettere i nostri sforzi fino a che, in tutto il mondo, gli insegnanti non impareranno come sviluppare nei loro allievi la consapevolezza dell'unità di corpo e mente, in modo che si possano raggiungere risultati più elevati che non la semplice correzione degli errori. Quando il corpo impara a perfezionare tutte le possibili forme e configurazioni delle sue parti non solo cambia la forza e la flessibilità dello scheletro e dei muscoli, ma si realizza un profondo e benefico mutamento nell'immagine del sé e nella qualità della direzione del sé.

Memorie di Moshe

Storia di Moshe e del Metodo

Moshe Feldenkrais nacque nel 1904 in un piccolo villaggio russo. Al tempo in cui aveva quattordici anni era in corso la prima guerra mondiale e decise di emigrare. Raggiunse il posto più sicuro al mondo a quel tempo: la Palestina. Là frequentò parte della scuola media, presso un Kibbutz. […] L’intento della scuola era quello di far sì che una volta diplomati non si prestasse fede ad alcuna autorità e si fosse in grado di vedere ogni situazione da punti di vista diversi. Egli spinse quest’idea così lontano che nella formazione di Amherst parlò di come Hitler fosse una persona interessante, meravigliosa e potente. Lo fece al solo scopo di irritare le persone e aprire le loro menti.
Aveva l’abitudine di fare cose come questa; era solito creare controversie su ogni punto di vista. Non si poteva mai essere sicuri di niente.
Per esempio, una volta andai con lui al ristorante. Era un fumatore accanito, fumava persino durante le lezioni di I.F. Raccolse il portacenere e incominciò a parlare di quanto stupida fosse quest’idea di fabbricarlo in quel modo [aperto] e di come il fumo si disperdesse. Continuò per un bel po’ a parlare di portacenere, di un modello che era stato progettato in Svizzera che era chiuso da un coperchio con un buco per infilarci la sigaretta. Disse che non ebbe successo e che agli inglesi non dava fastidio il fumo perché avevano nasi insensibili, che comunque non erano in grado di sentire l’odore di alcunché, che bastava vedere che cibo mangiavano, e questa era la ragione per cui avevano fabbricato i portacenere senza coperchio. E continuò a discutere su come quella fosse un’idea stupida fino a quando qualcuno non intervenne dicendo di essere d’accordo, che sarebbe stata una buona idea avere portacenere col coperchio. A quel punto lui lo prese per stupido e spiegò come ciò avrebbe causato problemi di fabbricazione e di immagazzinamento perché richiedevano più spazio, in quanto non si potevano incastrare l’uno nell’altro. Così era solito portare argomenti completamente contrari a ciò che aveva detto prima rendendo molto interessanti le situazioni più ordinarie ma allo stesso tempo esasperanti e faticose.
Le sue lingue madri erano: lo yiddish, l’ebraico e il russo. Le parlava tutte fluentemente. Andò ad Heidelberg dove consegui una laurea in ingegneria meccanica ed elettrica. Sembra che le abbia conseguite entrambe, ma non è chiaro. Heidelberg era la migliore Università tedesca a quel tempo per quei corsi di laurea. Dopo di ché andò alla Sorbona, dove ottenne un dottorato in fisica. Per un certo periodo succedette alla direzione del laboratorio di Curie. [Il “Curie” con cui collaborò Moshe era per la precisione Frédéric Joliot-Curie (1900-1958) e non il più famoso Pierre Curie (1859-1906) di cui Frédéric sposò la figlia aggiungendo tale cognome al proprio.] Redasse, insieme a Curie, il primo documento sul generatore di Van de Graaff, un generatore elettrostatico di elettricità usato nelle ricerche di fisica nucleare. Curie vinse il premio Nobel grazie a queste ricerche. Moshe era considerato uno dei massimi esponenti della fisica nucleare. Costruì e progettò molte cose. Fu anche geometra e costruì edifici a Tel Aviv.

Come arrivò al Metodo Feldenkrais? Era molto interessato a forme radicali di istruzione. All’età di vent’anni scrisse il suo primo libro sull’autoipnosi, lavorandoci nel tempo libero. Era interessato al linguaggio e ai lievi cambiamenti nel modo di parlare; a come i tipi di inflessione potevano influire profondamente sull’abilità e sugli stati mentali. Un giorno venne in visita [a Parigi] un altro professore di fisica: si chiamava Kano e veniva da Tokyo. Aveva sviluppato un sistema per insegnare la fisica in cui gli studenti incorporavano i principi della fisica e della meccanica di Newton. Era l’inventore del Judo. Aveva visitato tutte le varie isole del Giappone che possedevano ognuna la loro propria arte marziale. Kano era interessato a sviluppare uno sport che aiutasse i suoi allievi a incorporare la meccanica newtoniana così che non incontrassero difficoltà con la teoria della relatività, con la meccanica quantistica e con le nuove scoperte che stavano avvenendo. Insegnava loro il Judo in modo che capissero come usare il loro corpo e non faticassero troppo a spostare un grosso oggetto che venisse loro incontro. In altre parole: come ottenere il massimo movimento col minimo di sforzo. Imparavano a riorganizzare la loro postura in modo che l’intera forza di qualcuno che li attaccava passava attraverso le ossa lunghe per arrivare al terreno. Se la forza si trasmette lungo le ossa lunghe, poiché le articolazioni sono bilanciate, allora non si dovranno pre-impegnare i muscoli posturali per essere stabili. Nel Judo si cerca di osservare l’avversario così bene che si diventa in grado di sapere se arriverà dal lato sinistro, dall’alto o dal basso. Si riconoscono le sue predisposizioni dalla postura che ha, dall’osservare gli occhi, il respiro, e si è in grado di distinguere un attacco vero da uno finto. Si sa cosa fare e come organizzare il proprio corpo in anticipo. In quanto disciplina psico-spirituale richiede una sensibilità estrema che al profano può sembrare quasi soprannaturale.
Feldenkrais era alto circa un metro e sessanta e abbastanza rotondetto. Da giovane era stato un tipo forte e atletico. Al tempo della nostra formazione aveva settantun anni. Fece disporre Dennis Leri e qualche altro ragazzo robusto di fronte a lui e chiese loro di colpirlo sullo stomaco. Nessuno di noi era disposto a colpirlo, così provammo a farlo solo per finta ma lui non si mosse. Alla fine io mi decisi a farlo: non appena iniziai, la sua mano si sollevò e afferrò il mio polso bloccandomi. Sapeva che stavo per farlo realmente. Un certo numero di altri studenti provò ad ingannarlo ma nessuno riuscì mai a colpirlo. Ci disse che poteva insegnare a chiunque a farlo. Egli era capace di percepire il movimento e il suono del respiro e sapere se essi stavano per fare una finta. Proprio prima di colpire si fa un respiro più grande e acuto. Fece osservare che ogni persona cieca poteva sentire il movimento molto prima che qualcosa le arrivasse contro. Gli chiesi come aveva fatto a sapere quale sarebbe stato il braccio che stavo per usare, mi rispose: “Come puoi pensare che dopo averti osservato rotolare sul pavimento per due anni non sappia quale braccio useresti?”.
Kano arrivò a Parigi per fare una conferenza sullo stato della fisica in Giappone e sul suo nuovo metodo di addestrare gli studenti laureati. Nessuno aveva ancora fatto Judo eccetto i laureati in fisica. Feldenkrais fu invitato. Rimase affascinato dall’idea. Aveva già potuto osservare come le persone hanno la tendenza a contrarre e distorcere parti del corpo mentre pensano; notò che c’era una differenza in Oriente: infatti c’era un’immagine del Buddha in piena concentrazione mentale in posizione seduta, simmetrica, col corpo bilanciato. L’immagine comunicava l’idea di una respirazione facile, un viso rilassato e di una apertura posturale durante la concentrazione. L’immagine occidentale era diversa: era quella de “Il Pensatore” di Rodin.
La cosa sollevò il suo interesse e lui e Kano andarono molto d’accordo. Kano lasciò in Europa due dei suoi migliori discepoli. Uno di questi, di nome Kazumi, continuò a sviluppare il Judo dopo la morte di Kano. Kano disse loro che Feldenkrais era l’uomo di cui avevano bisogno per trasmettere il Judo all’Occidente. Volevano uno scienziato. Feldenkrais rispose di essere troppo occupato col lavoro di ricercatore. Kano sentiva che quest’uomo era abbastanza matto da potercela fare se fosse stato costretto. Lasciò due cinture nere che andarono ad abitare nello stesso appartamento in cui viveva Feldenkrais. Stavano al piano superiore e avevano dei tatami sul pavimento. Feldenkrais, dopo aver lavorato, tornava a casa, consumava una cena leggera e quindi saliva di sopra a fare Judo. È così che incominciò il suo addestramento. Fece notevoli progressi, divenne cintura nera e alla lunga fu il responsabile per l’entrata dello Judo nei giochi olimpici. Fu il fondatore dello Judo Club di Parigi che più tardi diventò lo Judo Club di Francia che oggi conta milioni di soci.
Durante la guerra Moshe si trovava a Londra e fondò lo Judo Club di Londra. In seguito venne a New York e attraverso lui lo Judo e le altre arti marziali entrarono nel mondo occidentale. Lo organizzò e gli procurò il riconoscimento ufficiale. In Giappone è oggetto di una certa venerazione da parte di diverse persone anziane per aver fatto del loro hobby nazionale uno sport olimpico. Al contrario, alcuni non volevano che ciò accadesse: pensavano che questo avrebbe distrutto lo Judo. In un certo senso è stato così. Oggi nello Judo si fa sollevamento pesi per diventare più grossi. In origine si trattava di percepire le cose in maniera più intelligente e di come riorganizzare velocemente il modo in cui si usa il proprio corpo. Quindi si riusciva ad annullare la forza e il potere dell’avversario attraverso il modo in cui ci si organizzava. C’era la preoccupazione che questo andasse perduto e così è avvenuto. Era una disciplina incredibile ed ora è diventato solo darsi spinte. Nello Judo si usano delle brache con il fondo della gamba ampio. La ragione di ciò stava nel fatto che i giapponesi hanno i piedi così flessibili per il fatto che vanno scalzi sui tatami tutto il tempo, che potevano afferrare i pantaloni coi piedi. L’idea di dare calci alle gambe era considerata molto rozza, preferivano afferrare e tirare. Si poteva controllare meglio l’avversario in questo modo. Era richiesto equilibrio. Mentre era coinvolto in tutto questo, Moshe ebbe un incidente debilitante che cambiò il corso della sua vita. Questo è il periodo in cui nacque il Metodo Feldenkrais. Stava giocando a calcio con ragazzi di vent’anni più giovani di lui.
Era come un animale. Una volta ero a cena con lui e in quell’occasione non usò le posate. Afferrava il cibo con le mani e se lo ficcava in bocca. Se ti capitava di attraversare una stanza con lui sembrava di avere una bestia, un orso o una tigre, con te. Aveva una spaventosa carica di energia e di potere. Era cerebrale quanto fisico. Era completo. Spesso provava a camminare come una certa specie animale. Immaginava di essere un animale e parlava di che specie di energia si sarebbe generata nel suo corpo quando camminava come questo o quell’animale. Come camminare con energia? Il suo interesse all’energia generata dal camminare incominciò verso la fine della sua vita. Mentre teneva un corso di post-formazione a San Francisco qualcuno gli fece una domanda in proposito; lui attraversò la stanza mostrandoci come camminare con energia [“power walk”]. Ci disse che quello era il modo in cui bisognava praticare camminare con energia. Era un modo di essere, non quante volte o quanto a lungo andare.
Una volta, quando stava giocando a calcio con questi ragazzi, gli capitò di fermare la palla; un giocatore che sopraggiungeva alle sue spalle non riuscì a fermarsi e rovinò sopra la parte esterna della sua gamba. Questo provocò la rottura completa dell’aspetto mediale della parte interna del ginocchio. Moshe raccontò che il suo femore finì in terra e la gamba gli uscì di lato. Era incline all’esagerazione. Disse che glielo rimisero in posizione; la pelle era lacerata e ogni cosa era strappata. Lo informarono sulle possibilità che aveva: potevano operarlo e cercare di ricucire insieme le parti. L’anatomia del ginocchio non era ancora ben conosciuta. Gli dissero che avrebbe avuto il cinquanta per cento di probabilità di ritornare a camminare. L’altra cosa che poteva fare era stare a letto per sei mesi senza piegare la gamba o mettere del peso su di essa. Quindi soppesò l’opportunità di farsi operare ma non gli andava l’idea.
Una volta eravamo a pranzo insieme al ristorante e gli chiesi quale fosse stata la prima cosa che lo aveva condotto verso l’integrazione funzionale. Mi raccontò questa storia. Disse che dovette passare sei mesi a letto. Mi chiese: “Stando sei mesi a letto si ha a disposizione moltissimo tempo per giocare con se stessi, giusto?” Io risposi: “Sì ma cosa ha a che fare questo con la mia domanda?” Lui replicò: “Ci sono molte cose da manipolare, non solo quello.”
Bisogna immaginare una piccola stanza da letto francese; non poteva piegare il ginocchio, così appoggiava la gamba ad uno sgabello vicino al letto. Mise una pila di cuscini sotto il braccio sinistro in modo che non ci fosse stiramento del trapezio e del levator scapula. Così neutralizzò il riflesso di allungamento. Il riflesso di allungamento ti riporta alla tua normale lunghezza di riposo. Ogni qualvolta si allunga un muscolo o lo si allontana dalla posizione neutrale si produce un segnale elettrico poiché il muscolo è eccitato. Questo accade di notte stando al letto, quando si giace troppo a lungo in una posizione; cosicché il cervello a un certo punto deciderà di farti girare dall’altra parte. Certe volte si dorme così profondamente che l’eccitazione non ha la possibilità di penetrare, e così poi ci si sveglia col collo rigido o qualcosa del genere. I nostri muscoli sono sempre eccitati quando sono in allungamento. Uno dei peggiori dolori che possiamo avere è quando si ha un muscolo che è stirato e infiammato. Lo teniamo allungato e sta ancora contraendosi.
Moshe neutralizzò questo [riflesso] mettendo i cuscini per sostenere [il braccio]. Non c’era nessun lavoro. Col braccio appoggiato in questo modo gli angoli del cuscino erano tirati in su e c’erano delle pieghe su di esso. Questo fu il suo primo esperimento di integrazione funzionale. Voleva solo capire come poter aiutare il suo ginocchio e sapeva che nessuno ne capiva un accidente. Si mise a cercare nei libri di anatomia. Conosceva i migliori esperti che lo potessero consigliare in anatomia e fisiologia. Scoprì che nessuno ne sapeva niente; così decise che doveva imparare da sé. Prese gli angoli del cuscino e chiuse gli occhi. Si chiese se tirando [gli angoli] stava spianando una o due pieghe. Quanta forza doveva impiegare nel tirare per riconoscere quante pieghe stava eliminando dal cuscino? Provò a farlo in modi e posizioni diverse finché ottenne un calibro accurato per le pieghe nel cuscino. Riuscì a sapere quanta forza occorreva per eliminare una, due o tre increspature; le sue mani erano diventate sensibili. Quindi ruotò il suo avambraccio, lo massaggiò e si assicurò che fosse molto morbido e rilassato. Aveva calibrato accuratamente la sensibilità delle sue mani.
C’era una macchia sul muro e decise di puntare le sue dita verso quella macchia. Stava tirando le sue dita con questa sensibilità. Quando provò a tirare un certo dito la mano andò in pronazione; col dito seguente questo non accadde. Si chiese perché un dito provocava questo mentre l’altro no. Progettò un esperimento scientifico per scoprire ciò che era naturale. Si domandò quale dito avrebbe mosso maggiormente in avanti la sua scapola. Lo fece sino a quando seppe quanta forza occorreva per tirare la scapola. Quando ebbe finito guardò allo specchio e vide che i due lati del suo viso erano diversi. Notò inoltre che si sentiva comodo nel sostenersi sulla gamba sinistra. Sentì che l’intero corpo era stato influenzato.
Provò a rovesciare la situazione e scoprì che l’altro polso girava diversamente. Una spalla si protraeva più dell’altra. Si rese conto che c’erano disequilibri nel complessivo funzionamento del sistema nervoso. Questo lo portò a considerare cosa ciò potesse significare relativamente al suo ginocchio. Forse ci poteva essere un modo diverso di operare del sistema nervoso che era in grado di alleviare il dolore al ginocchio. Capì che, se poteva diventare così rilassato da un lato, solo giocando con le sue dita, allora ci doveva essere un modo per cambiare la maniera in cui le anche, le ginocchia, le caviglie e la schiena lavoravano. Pensò che forse la gente non riusciva a sentire e capire ciò che faceva col suo corpo.
Si mise a consultare libri di anatomia in lingue diverse. Nei libri inglesi si affermava che le ossa del piede, a parte le falangi, erano classificate come articolazioni immobili. Se avete mai visto come sono costruite le scarpe inglesi non fa meraviglia che i piedi dei loro cadaveri non si muovano. Gli inglesi non camminano mai scalzi e non muovono i piedi. I libri di anatomia giapponesi li mostravano come articolazioni altamente mobili. I giapponesi potevano abbassare il loro arco plantare sino a toccare terra e appoggiarsi senza pronare la caviglia. Erano in grado di abbassare e sollevare queste ossa. Potevano chiudere il piede come un pugno. Cercò nei libri tedeschi ed essi dicevano che erano semi-mobili. Pensò che era probabile che le abitudini culturali, i modi di pensare e di vivere influenzavano la scienza. Le dichiarazioni in proposito sarebbero state prese per vere. Ritenne che forse nessuno ne sapeva niente di ginocchia, piedi o anche. Si chiese perché il suo viso era cambiato giocando con la mano e il suo equilibrio influenzato giocando con le dita. Nessuno lo sapeva. Ogni volta che rivolgeva la domanda ai più eminenti scienziati europei nessuno conosceva la risposta. Si trovò abbandonato a se stesso, a dover fare affidamento solo alle proprie risorse, che erano notevoli.
Decise di non voler più restare fermo a letto o di non piegare il ginocchio. Andò avanti a giocare con le mani e a cercare di capire come fare cose diverse col suo braccio. C’erano delle articolazioni che non riusciva a raggiungere, come quelle delle vertebre toraciche, così dovette sviluppare degli esercizi. Si mise sul pavimento e incominciò a rotolare in modi molto precisi e raffinati; si mise a inventare i movimenti. Riuscì a sentire dei cambiamenti. Si rese conto che il suo intero corpo e ciò che lui pensava fossero le sue limitazioni erano un’idea o un concetto. Esse erano costruzioni che aveva imparato e lui non sapeva nemmeno ciò che aveva imparato. Erano solamente un cumulo di abitudini. Cominciò a esplorare e sperimentare ancor prima che sviluppasse le CAM. Sviluppò questi movimenti interessanti in modo da poterli capire e inquadrare nell’ottica di un ingegnere meccanico. Quindi guardava al sistema nervoso nel modo in cui lo avrebbe fatto un ingegnere elettronico. Cosa arresta il flusso elettrico di informazioni? Cosa accade? Che cosa poteva andar storto?
Si mise a sperimentare sempre di più su sé stesso. Quindi arrivò il momento in cui dovette occuparsi del ginocchio e del piede. La prima cosa che fece fu prendere il piede che poteva raggiungere e tirare e girare le dita. Si mise ad esplorare quelle ossa su cui c’erano pareri discordi. Voleva scoprire cosa erano capaci di fare le sue ossa. Fece molte cose interessanti con i suoi piedi, ginocchia e anche. Prese nota di tutti i cambiamenti. Quindi venne il momento di arrivare al piede poggiato sullo sgabello. Non poteva raggiungerlo; piegare la gamba causava dolore. Non poteva accettarlo. Pensò che forse non poter toccare il piede era solo un’idea, una abitudine che lo limitava. Si chiese se il corpo intero lo stesse limitando. E perché mai avrebbe dovuto permettere che la sua attenzione fosse intrappolata sui suoi tendini della parte posteriore del ginocchio? Nelle CAM noi insegniamo che la nostra attenzione rimane intrappolata nelle parti su cui stiamo forzando. Quando cercava di allungarsi [per raggiungere il piede] sentiva lo stiramento nei tendini posteriori del ginocchio ma si chiese se questo fosse tutto quello che lo bloccava. Si rese conto che le sue costole e spalle erano dure. Fece ogni genere di movimenti per il cingolo scapolare e la gabbia toracica e questo lo rese così libero e flessibile che riuscì a toccarsi il piede.
I tendini dietro il ginocchio non erano l’ostacolo ma la sensazione era come se lo fossero. Non potendo piegare nessun’altra parte era naturale che questi tendini dovessero allungarsi. Cominciò a sviluppare cose sempre più elaborate per lavorare col suo tronco. Provò a cambiare il suo modo di respirare e l’uso che faceva della testa, collo e occhi. Si può riconoscere dagli occhi quando le persone stirano troppo i muscoli. Non appena arrivano ad un certo punto si può vedere nei loro visi il desiderio di riuscire. I loro occhi mostrano la reazione del corpo a questo tentativo. Moshe lavorò con gli occhi, la mascella e tutto il resto fino a che riuscì a raggiungere il piede. Questo è guardare al corpo nei termini della teoria dei sistemi.
Il villaggio più vicino a quello in cui egli era nato in Russia era il luogo di nascita di Nickoli Bernstein, che fu il padre della moderna scienza del movimento. Egli fu l’iniziatore del campo delle scienze del movimento. Lui e Moshe avevano la stessa età. Moshe lavorava alla teoria dei sistemi in fisica, così applicò questo modo di pensare al lavoro che faceva su se stesso per il suo ginocchio. Il medico gli aveva detto di non piegare mai la gamba o stare in piedi su di essa, così lui non la piegò, ma fece qualcosa “come se” dovesse piegarla. Si mise a massaggiare i tendini dietro il ginocchio. Pensò che forse la possibilità di piegare più o meno il ginocchio poteva dipendere dalla collocazione del piede e del tallone. Fece dei tentativi esplorativi in questa direzione. Scoprì che otteneva una maggiore flessione se usava la sua anca come un praticante di Judo e raggiungeva il polpaccio creando una torsione. Quindi giocò col tallone.
Il medico aveva detto di non stare in piedi su quel ginocchio così si sorresse sull’altra gamba e fece parecchie cose elaborate. Ruotò il bacino intorno al femore e andò su e giù. Si assicurò che la gamba sana sapesse cosa fare e fosse ben organizzata. Quindi provò a fare la stessa cosa sull’altro lato fino a che l’anca, la caviglia, la schiena e tutti i muscoli in tutte le zone vicino al ginocchio furono in grado di fare cose straordinarie. Riuscì a camminare. Poteva piegare il ginocchio, avere stabilità nell’articolazione e non faceva più male. Si presentò al medico e questi pensò che il riposo a letto lo avesse veramente aiutato. Ogni giorno esplorava questo campo ed era così preso dalle CAM che si dimenticava di andare a cenare. Non poteva letteralmente fermarsi. Continuò ad esplorare dettagli minuti e complicati per capire come funzionava il suo corpo. Camminava in un modo tale che un occhio inesperto non avrebbe saputo dire cosa c’era di sbagliato. Si mise a pensare a come proteggere il ginocchio mentre si muoveva. Gli faceva male quando c’era cattivo tempo.
Per un certo periodo lavorò sui sottomarini. […] Gli ammiragli inglesi hanno un labbro superiore molto rigido, non sorridono mai né ridono o piangono, specialmente durante una guerra. Moshe si trovava in una nave da guerra. Aveva sviluppato una notevole abilità nelle sue mani lavorando su se stesso. Aveva una grande sensibilità per il movimento. Era molto popolare ai cocktail. Era spesso occupato a portare le mogli degli altri nella stanza da letto per alleviare il loro mal di testa. Era veramente un personaggio. Applicò agli altri gli stessi principi che aveva usato con se stesso. Si rese conto che il problema stava nel loro pensiero. Cominciò a lavorare con loro nello stesso modo con cui aveva lavorato su se stesso.
Un giorno stava lavorando con un ammiraglio inglese che aveva sentito che lui faceva meraviglie per le persone con la schiena rigida. Quest’individuo aveva un asma terribile che era peggiorata durante la guerra a causa della tensione nervosa. Moshe stava lavorando sul suo petto in modo delicato quando quest’ammiraglio incominciò a piangere e a ricordare qualcosa di terribile che gli era successo all’età di quattro anni. Come era potuto accadere? Gli era successa la stessa cosa con un altro ammiraglio. Entrambe le persone ne ricavarono un sollievo. Lui non sapeva cosa stava facendo. Quando ciò accadde, lo sviluppo della psicologia somatica, le tecniche neurologiche e le tecniche ortopediche e di riabilitazione erano ai loro primi passi. Tutte le persone che poi avrebbero sviluppato quel campo erano ancora bambini o adolescenti. Nessuno ne sapeva niente eccetto F.M. Alexander. Moshe studiò con lui e fece diverse lezioni. Anche Ida Rolf era una sua intima amica.
Un’altra storia vi aiuterà a capire il suo metodo. Un professore di fisica suo collega si rivolse a lui per un problema riguardante l’accorciamento del muscolo trapezio. Chiese a Moshe di aiutarlo. Mentre questi gli parlava Moshe osservò il modo in cui egli si toccava. Pensò che se quello era il suo modo di trattare se stesso, la relazione che aveva con sé, che cosa questo poteva dire su ciò che egli era e come ciò si collegava al suo problema di rigidità? Aveva imparato su se stesso che la cosa peggiore da fare era toccare la zona che era sotto stress. La mente di quell’individuo stava sempre pensando: “Questo fa male.” Questo era il suo atteggiamento abituale verso questo fatto. Questo era ciò che il muscolo imparava quando veniva toccato in quel punto. Moshe provò a lavorare col pensiero sistemico. Lo fece sdraiare sul tavolo e gli applicò una spinta attraverso l’altra gamba fino a quando [questa persona] si sentì così bene che dovette cambiare il suo modo di stare in piedi. Lavorò anche sulle costole. Lo fece girare e gli cambiò l’orientamento della testa e degli occhi. Se questa è la nostra abitudine e si fa in modo che le cose cambino, il cervello non riesce a capacitarsi di come attenersi ad essa. Quel tipo si mise in piedi e la sua spalla era libera. Moshe non l’aveva neppure toccata. Che curioso!
Viene da lui un’altra persona con le spalle rigide. Moshe sa di non poter contare su di una formula, un protocollo o una ricetta da seguire. Siamo tutti diversi. Lavora con le anche di quest’uomo che ha una schiena terribile. Gli muove la testa e il collo e riesce a sciogliergli le spalle. A questo punto cominciò a pensare di aver scoperto qualcosa di importante e si mise a intraprendere una ricerca.
Il sottotitolo di Il corpo e il comportamento maturo era: Ansia, Sesso, Gravità e l’Apprendimento. Vi consiglio caldamente di leggerlo. In esso portò l’idea dello sviluppo motorio in un campo nuovo. La maggior parte dei libri sullo sviluppo motorio si fermano all’età di sei anni. Dicono: “Si cammina carponi e si imparano delle cose, quindi dopo i sei anni non c’è più nulla da imparare. Si è già sviluppati. Si è in grado di stare in piedi e camminare, perciò è tutto finito”. Egli si pose le seguenti domande: “Come mai una persona di settant’anni che ha raggiunto una posizione sociale elevata e riconosciuta da tutti, distinta, che gode di stima e rispetto nella sua comunità, sotto certe condizioni di stress si comporta nei confronti di talune persone come un bambino di due anni? Se il cervello sta creando e organizzando i movimenti di una persona di settant’anni come può allo stesso tempo creare il sistema motorio, il comportamento e i sentimenti di un neonato? Come può comportarsi in quel modo?”
Negli anni cinquanta tre ginnasti si rivolsero a lui per un problema perché aveva raggiunto una certa fama facendo cose strane per problemi strani. La gente andava da lui con problemi insoliti. Questi ginnasti erano flessibili, forti e sapevano fare cose che la maggior parte delle persone non possono fare. Sapevano oscillare sulle sbarre e fare altre cose di questo tipo ma erano impotenti. Come poteva il cervello creare dei movimenti di livello così elevato, che erano ben controllati e organizzati. e allo stesso tempo eliminare una delle funzioni umane più basilari? Come potevano gli esseri umani avere dentro di sé diverse persone organizzate da qualcosa chiamata il sistema motorio come se fossero una persona sola? Siamo pienamente sviluppati se riusciamo a muoverci bene ma siamo impotenti? Si può essere pienamente realizzati nel mondo esterno ed essere internamente dei neonati in molti modi. Potrebbe essere che noi smettiamo di svilupparci? Può darsi che debba accadere qualcosa per permetterci di evolverci ulteriormente in modo che la vita interiore ed esteriore corrispondano e siano integrate.
Ne Il Corpo e il comportamento maturo prese l’idea dello sviluppo motorio e la espanse nel concetto che non si smette mai di imparare. Possiamo sempre apprendere e continuare a svilupparci. L’età non significa niente nei riguardi della nostra capacità di apprendere. La sua vita fu una manifestazione di questo. Negli ultimi due anni della sua esistenza faceva cose che erano incredibili e che erano molto al di sopra di qualsiasi cosa gli avessi visto fare pochi anni prima. Sentiva che il suo ritmo di apprendimento era aumentato. Aveva quasi ottant’anni e lavorava sessanta ore alla settimana. Io do una lezione la mattina appena alzato, quindi vengo qui e insegno con l’aiuto di Steve. Moshe faceva tutto da solo. Si alzava la mattina e lavorava con un gruppo di persone, quindi si recava ad insegnare al corso di formazione con duecentotrenta persone, tutto da solo. Lavorava sino alle dieci di notte e non smetteva di parlare sino all’una o alle due. […]
Abbiamo parlato delle sue esplorazioni sulla mano e sui tendini posteriori del ginocchio e di come le applicò ad alcuni dei suoi colleghi. La parte successiva della storia inizia in Israele, dopo la guerra, quando ottenne una borsa di studio come ricercatore. […] Si mise a studiare lo sviluppo motorio. Questo suscitò talmente il suo interesse che abbandonò completamente la fisica per iniziare questo laboratorio. Non sapeva che sarebbe stato un abbandono definitivo. Era interessato molto di più al corpo umano, a come si muove, all’apprendimento e allo sviluppo motorio che alla fisica. Sua madre, che era un’artista, ritenne che fosse stato un idiota ad abbandonare il suo campo per andare a strofinare la schiena di vecchie signore.
Andò avanti, fece corsi di CAM, fece esperimenti con la rotazione della testa… (c’è una lacuna nel nastro.) Incominciò a registrare gli esercizi con cui lavorava su se stesso. Cominciò a insegnarli verbalmente. Cercò di ideare un modo così preciso di descrivere i movimenti che avrebbe permesso a un grande numero di persone di farli. Si rese conto che l’integrazione funzionale era limitata perché si poteva lavorare solo con una persona alla volta. Cominciò ad esplorare il linguaggio e i processi verbali. Il suo primo libro riguardava l’autoipnosi. Si mise a pensare nei termini di usare il linguaggio per suggerire il movimento, o spostare l’attenzione delle persone dentro e fuori stati diversi, in modo che potessero apprendere. […]
Ci fu un’altra circostanza che contribuì alla diffusione del metodo. […] Dopo dieci anni passati a progettare lezioni di CAM e a lavorare con le mani, ritenne di aver raggiunto una conoscenza sufficiente. Pensò che se avesse avuto un metodo che fosse stato decisamente diverso da qualsiasi altra cosa, avrebbe dovuto assicurarsi di poter insegnare ad insegnarlo a persone senza una preparazione di base che avrebbe potuto influenzare il loro modo di sentire. Si mise a guardarsi attorno nelle sue classi di CAM e incominciò a scegliere delle persone. Prese un autista di tassì che non stava combinando nulla nella vita, un insegnante in pensione che era annoiato a morte, una donna che era brava in Judo e nella tecnica Alexander. Prese anche alcune casalinghe che non avevano mai lavorato prima e alcuni amici medici, e quindi decise di fare una piccola formazione. Era una situazione di apprendistato. Girava la loro testa e poi loro dovevano farlo su di lui. Si fece un’idea di ciò che si provava. Man mano che essi migliorarono ottenne una migliore conoscenza delle sensazioni che il suo lavoro produceva. Questa piccola formazione era iniziata in Israele alla fine degli anni Sessanta.
Poi arrivò [da Moshe] Will Schultz che, insieme a Michael Murphy, aveva fondato l’Istituto di Esalen. Will fece la prima formazione del Rolfing. Ida Rolf e Moshe si conobbero durante la seconda guerra mondiale. Entrambi erano a Londra e frequentavano un gruppo di studio di Gurdjeff. Gurdjieff era un genio che cercò di comprendere come il movimento e la psicologia potessero entrare in relazione. Sviluppò molti esercizi per l’espansione della psiche attraverso l’uso del corpo; li chiamò meditazioni. Il suo lavoro riguardava il come organizzare l’attenzione. Ci sono sue scuole ovunque nel mondo. Ida Rolf e Moshe erano interessati a Gurdjeff. Moshe stava descrivendo questo nuovo lavoro che andava sviluppando, lei stava descrivendo il suo lavoro col tessuto connettivo. Una sera erano a cena insieme ed lui le disse che non sapeva come chiamare il suo lavoro. Lei rispose di essere nella stessa situazione. Decisero che lei lo avrebbe chiamato “integrazione strutturale” e Moshe avrebbe chiamato il suo “integrazione funzionale.” È così che cominciarono.
Will Schulz era nella prima formazione di Ida. La Rolf era una persona difficile proprio come Moshe. Non parlava mai bene di nessuno ma quando parlava di Feldenkrais Will Schultz notò che non ne parlava male. Di regola lei non si esprimeva mai in termini positivi. Will pensò che quest’individuo doveva essere eccezionale dato che lei non lo aveva mai sminuito. Così le chiese il suo indirizzo ma lei non volle darglielo. Dovette arrivare per vie indirette a trovare Moshe. Gli scrisse una lettera e Moshe prestò attenzione perché Will Schultz era al secondo posto nella gerarchia della facoltà di psicologia dell’Università di Harvard. Era un grosso nome. Contrariamente alle sue abitudini, Moshe rispose a questa lettera. Will andò a trovarlo e rimase molto sorpreso nel vedere quest’uomo basso e tarchiato, seduto su uno sgabello con circa dieci persone sul pavimento, che cercava di descrivere i movimenti con uno scheletro. Stava facendo un lavoro eccellente.
Will riferì questa storia importante il giorno dopo la morte di Moshe. Quando fece il suo ingresso [nella stanza dove Moshe insegnava] aveva la testa inclinata leggermente di lato. Moshe interruppe la lezione e disse: “Guardate, questo è dott. Will Schultz, uno psicologo di Harvard. Ha studiato con Ida Rolf per anni e guardate la sua testa. Guardate: ha ancora la testa tutta storta.” Ed era proprio così. Lo fece sdraiare sul pavimento di fronte alla classe e gli girò la testa da un lato all’altro. Will raccontò che fu per lui una esperienza straordinaria sentire e capire dall’interno che la sua testa era storta. Lo sapeva dall’esterno poiché i rolfer scattano fotografie ma non aveva mai avuto un riferimento interno. Pensò che era strano poter sentire che la sua testa fosse inclinata e che dipendeva dal petto.
Will cercò di convincere Moshe a lasciare Israele per recarsi all’Istituto di Esalen in California. Questo accadeva nel 1972. Moshe prese l’aereo e presentò il suo primo seminario in America a un piccolo ed elitario gruppo di psicoterapeuti tra cui Stanley Kelleman. Nessun medico vi prese parte. Decise che il posto gli piaceva molto. […] In Israele era molto rispettato ma le condizioni economiche erano molto diverse. Così decise di tenere il suo primo corso formale di formazione nella città di San Francisco, che iniziò nel 1974. Ci era già stato un paio di altre volte. Eravamo in sessanta in quella formazione; si portò gli assistenti da Israele.
La formazione fu organizzata in un unico segmento annuale di otto settimane consecutive, seguite da dieci mesi di pausa, per un totale di quattro anni. All’inizio dovevano essere solo tre anni ma verso la fine si rese conto che non sarebbero bastati. Aggiunse un quarto anno che era inteso come un anno di pratica clinica con la supervisione del lavoro. Non facemmo nessuna CAM.
Non ero affatto sicuro di voler fare questo lavoro. Non mi iscrissi con l’intenzione di essere un insegnante Feldenkrais. Ero uno psicoterapeuta e un ex-ballerino. Era interessante ma non proprio ciò a cui mi sentivo attratto. Ciò che mi aveva convinto ad iscrivermi era stata la prima lezione di un seminario dimostrativo dove fece ciò che era solito fare in tutte le dimostrazioni. Era la CAM “seduti di lato con la mano di fronte.” Moshe riteneva che, mancando di un riferimento interno, le persone non si sarebbero rese conto se avessero migliorato o no. In questa CAM si può prender nota di un punto sul muro che ci dirà se c’è stato un miglioramento. Non immaginate quante persone riescono a compiere dei miglioramenti notevoli senza rendersene minimamente conto. Lui si serviva di questi punti di riferimento esterni per incominciare.
A questa lezione dimostrativa prendevano parte anche due ballerine del balletto di San Francisco, e stavano in prima fila. Ogni volta che ci giravamo il movimento diventava sempre più facile. Alla fine della lezione le due ballerine si alzarono, afferrarono le loro pellicce, e si avviarono stizzosamente verso l’uscita. Feldenkrais si interruppe e disse: “Scusate, quelle due belle donne con il cappotto elegante! Perché ve ne andate dalla stanza ora?” Loro si fermarono ed esclamarono: “Tutto questo è solo un trucco!” Lui replicò: “Ah! Allora potete andare, non avete bisogno di stare qui. Signore e signori, per favore applauditele. Sono le sole persone che hanno capito che l’apprendimento è un trucco del sistema nervoso. Hanno imparato la lezione e non hanno più bisogno di questo. Perciò grazie tante. Potete fare tutti un applauso?” Non restò loro altra scelta che quella di andarsene.
Questa fu la mia prima esperienza in cui capii il perché gli atleti e i ballerini non sono interessati a questo lavoro. La ragione è che loro hanno investito tutta la vita nello sforzo. Immaginate che arrivi qualcuno e con un trucco vi fa differenziare la testa dalle braccia e così riuscite ad andare oltre. Fate qualcosa con gli occhi e le anche e andate ancora oltre. Sapete quanto questo può essere penoso se avete passato tutta la vita pensando che il solo modo per poter arrivare al punto “B” dal punto “A” sia possibile attraverso lo sforzo e la ripetizione? Questo è un attacco alla vostra immagine corporea e alla vostra sensibilità. Escono dalle lezioni di danza doloranti e questo dà loro la prova di quanto fosse eccellente la lezione e di aver fatto qualcosa di importante.
Moshe fece questa formazione e negli anni successivi diverse altre formazioni avanzate con sessanta di noi. Ho passato un periodo di circa dieci anni con lui. Nel 1980 decise di iniziare un secondo programma di formazione negli Stati Uniti, ad Amherst nel Massachusetts. A quel tempo il suo lavoro era più noto e ci furono duecentotrenta iscritti in quella formazione. Era in una palestra immensa. Fece solo i primi due anni. Insegnò solamente la “consapevolezza attraverso il movimento.” Nessuno toccò una persona per due anni. Quello divenne il modello per i successivi programmi di formazione per molto tempo. Si sperimentavano le lezioni di CAM senza guardarle o parlarne. Si cominciava a toccare alla fine del secondo anno. Prima che iniziasse il terzo anno della formazione ebbe un ematoma subdurale seguito da un infarto, quindi un altro infarto ancora con conseguenti disturbi cardiaci. Visse per un paio di anni ancora e poi morì.
Ad Amherst lavorava dalle sessanta alle settanta ore la settimana all’età di ottant’anni. Dava lezioni di IF agli studenti la mattina, insegnava nel corso per tutto il giorno e la sera dava altre lezioni. Cenava e faceva altre integrazioni di notte. Quindi si sedeva e chiacchierava con chi gli stava intorno sino all’una o le due di notte. Dormiva poche ore, si svegliava presto e ricominciava. Quando ebbe l’ematoma subdurale il medico gli disse che avrebbero dovuto operarlo al cervello per estrarglielo e che avrebbe dovuto smettere di fare quello che stava facendo. Lui non volle. Continuò a lavorare sino all’infarto. Provò a vedere quanto in fretta riusciva a riprendersi dall’infarto.
Designò un gruppo di nove persone che si alternassero nell’insegnamento. Si alternarono finché finirono il programma di formazione. Utilizzarono i nastri del programma di San Francisco. Quella fu la sua seconda e ultima formazione. Addestrò numerose persone. Da allora i programmi di formazione si sono evoluti considerevolmente. La formazione di Amherst fu registrata su video-cassette, che diventarono un requisito necessario per le formazioni seguenti. Ora le cose sono cambiate ma in alcune formazioni si fa ancora così. Al momento ci sono tante persone nei programmi di formazione quanti sono gli insegnanti diplomati. Ci sono circa milleduecento practitioner, e crescono esponenzialmente. Ci sono circa venti trainer attualmente ma per un certo tempo sono stati solo una dozzina.

Copyright: Frank Wildman Institute for Movement Studies
FPTP Year 1, Segment 1, Notes
River Falls, W1, July 6-31, 1993
Page 118

Moshe Feldenkrais

Ci piace umanizzare quegli individui che stimiamo, che hanno un talento speciale o una posizione nella società. In qualche modo abbiamo bisogno di diminuire il carisma, la mistica che li circonda. Sapere che, dopo tutto, sono come noi, o noi siamo come loro. Tuttavia desideriamo allo stesso tempo mantenere quell’aura di singolarità, idealizzare le caratteristiche di qualcuno che eleverà il nostro spirito, e ci aiuterà a realizzare i nostri sogni inconfessati.
Mentre stavo nel corridoio, potevo sentire Moshe che si avvicinava alla porta del suo appartamento di Tel Aviv. Quindi il suono di ognuna delle quattro mandate della serratura che veniva aperta. Stava di fronte a me scusandosi, come aveva fatto al telefono, di non essere passato a prendermi all’aeroporto. Dopo le solite formalità, “Sei stanco? Hai fame?”, mi mostrò la stanza in cui avrei dovuto dormire nei prossimi tre mesi, e quindi guardammo la serie televisiva popolare americana di “guardie e ladri” Starsky and Hutch.
Moshe aveva vissuto in questo appartamento al centro di Tel Avivi per più di 30 anni. Era, come ben lo descrive Jeff Haller, una biblioteca con dentro un letto. La “biblioteca” conteneva volumi sulla meccanica, fisica, psicologia, judo, fisiologia, anatomia, dizionari, gli ultimi successi della letteratura “New age”, e molti altri, pubblicati in francese, inglese, russo, ebraico e tedesco. Una volta durante una discussione mi disse di andare ad un certo scaffale: “È un libro verde e piccolo, dovrebbe essere il quinto sul quarto scaffale. Il secondo capitolo dà una risposta alla tua domanda”. Era proprio così. Gli chiesi quando fosse l’ultima volta che aveva letto quel libro. “circa 30 anni fa.”
A Moshe piaceva mangiare ed era di gusti molto cosmopoliti. Caffè con molta panna liquida, e almeno due cucchiaini di zucchero. Qualche volta prosciutto speziato affettato a pezzi di mezzo centimetro e fritto nell’olio: “Dal periodo in cui gli inglesi ce lo portarono durante il mandato”. Poi seguivano due o tre uova, sempre fritte nell’olio. Sua sorella gli portava degli ottimi formaggi dalla Francia, ed anche cioccolato. Il migliore viene dal Belgio. Ne divoravamo mezza scatola a seduta. Gli piaceva preparare pietanze cinesi. La sua credenza conteneva tutti gli ingredienti necessari. Qualche volta si svegliava a tarda notte per uno spuntino, e le blatte nella cucina correvano a rifugiarsi nelle loro fessure nascoste. Odiava la cucina messicana: “Tutto quel maledetto formaggio fuso”. Chi aveva i piatti più piccanti? Erano i coreani, gli Szechwan o gli Hunan? Chi riusciva a mangiare il cibo più strano? Moshe vinse quando mi vide in imbarazzo mentre lui mangiava la testa di un pesce freddo, occhi e tutto. Era contrario al latte: “Conosci un qualsiasi mammifero che, superato il periodo infantile, continua a bere il latte di sua madre?”
Certe volte per cena, bastava una ciotola di riso o delle tagliatelle al burro: “Chi ha bisogno di tutte quelle salse continuamente? Ci fanno ammalare!” Durante un pasto aveva l’abitudine di servirsi dal vostro piatto, senza permesso, se gli sembrava appetibile. Finito di mangiare accendeva una sigaretta. Qualsiasi marca andava bene. Ma Dunhill, scatola blu, extra mild, ah! era il massimo. Quindi “un caffè” prima di andare a letto. Appena aveva la testa sul cuscino si addormentava profondamente e russava dopo pochi secondi.
Moshe aveva sei paia di pantaloni colorati, tre neri e tre blu scuri. Tutti avevano tasche profonde con doppia cucitura, ed erano stati confezionati dai “migliori sarti inglesi” disponibili. Quando viaggiava o anche a casa, li lavava la sera e la mattina successiva erano freschi e stirati “con la piega”. Odorava sempre di pulito, anche il suo alito, ma non faceva necessariamente il bagno tutti i giorni, poiché, diceva: “La mia pelle è delicata e il sapone secca la pelle privandola dei suoi oli naturali, e il suo abuso provoca una maggiore sudorazione”.
Aveva un cappotto con molte tasche che era famoso per la sua pesantezza. Tra le varie cose conteneva: un tester per batterie, almeno due registratori tascabili con batterie supplementari, una ampia riserva di contante, generalmente 5-10.000 dollari in ognuna delle seguenti divise: franchi svizzeri, dollari americani, marchi tedeschi. Tutti i tipi di penne, tre tipi di forbici per tagliare le unghie o la pelle, due tipi di tagliaunghie e lime per unghie, rotelle aggiuntive per trasportare il suo bagaglio e ogni sorta di aghi e fili. Una volta ruppi un grosso ago mentre cucivo, all’aeroporto, la sua valigetta di pelle, e lui prontamente me ne diede un altro: “Per gli idioti come te!!” Portava anche con sé ogni tipo di antibiotico, cerotti, un passaporto israeliano e inglese, ecc. Moshe era sempre preparato ad ogni eventualità.
Non ha mai sofferto di postumi da viaggio in aereo [dovuti al rapido cambiamento di fuso orario]. Riteneva che le cure con i cristalli fossero una assurdità, ma permetteva che venissero provati su di lui. Utilizzava le “pillole di sterco” della medicina tibetana. Aveva una biblioteca eccellente sull’agopuntura e occasionalmente praticava quest’arte.
Alla fine di una lunga giornata lavorativa, negli ultimi anni 70, faceva fatica a stare sveglio durante una lezione di IF. Certe volte dava dalle otto alle dodici lezioni di IF in un giorno, ognuna delle quali era sempre più incredibile in qualità delle precedenti. Si svegliava frequentemente nel mezzo della notte e, come lui stesso lo definiva, “si rotolava tutt’intorno” per alcune ore esplorando vecchi e nuovi schemi di ATM. Cerve volte “rotolava intorno” a letto per un ora alla mattina prima di iniziare la giornata. Era un uccello notturno: si coricava e si alzava tardi.
Fare la spesa con Moshe era un’esperienza simile a quella con mio figlio di tre anni. Aveva la mente più indagatrice ed era l’adulto più curioso che abbia mai conosciuto. Apriva, esaminava, rivoltava tutto e studiava le sue funzioni. Il suo appartamento a Tel Aviv era pieno di aggeggi: pezzi di accendini smontati a metà, di registratori, di magneti, condensatori, batterie mezze usate, ecc. Conservava tutto. Se veniva invitato a casa di qualcuno e veniva lasciato solo, ispezionava i libri, gli armadi, i cassetti, la credenza. Era come un animale vorace e curioso che annusava e esplorava il suo ambiente.
Moshe è morto nel sonno dieci anni fa. Il titolo del suo ultimo libro doveva essere: “Il vostro scheletro sopravviverà alla vostra anima”. Ora, i resti delle sue spoglie mortali giacciono in una semplice e comune tomba vicina a quella di sua madre e suo fratello, in un cimitero alla periferia di Tel Aviv. Visse la vita pienamente, vigorosamente e appassionatamente, in tutti i suoi estremi. Noi facciamo onore al suo spirito e al nostro quando viviamo la nostra vita “al limite” come lui fece.

A Moshe:

Grazie per il seme della conoscenza,
Forse germoglierà nel mio giardino,
e fiorirà nel loro.
Pat Siebert

Moshe, il judoka delicato di Carl Ginsburg

Mark Reese mi riferì un paio di anni fa che quando Moshe viveva nella sua casa, una sera aveva osservato Moshe mentre faceva una ATM sul pavimento della stanza da letto. “Non crederesti quanto era morbido e delicato con se stesso. Era elegante. Noi non abbiamo neppure incominciato ad avvicinarci alla sua grazia” mi disse Mark. Mi sono ricordato di questo una mattina quando mi sono reso conto che spesso lavoro troppo duramente con me stesso. Questo malgrado il fatto che, come insegnante, mi piace che gli altri si muovano delicatamente e lentamente. Ho una immagine di Feldenkrais, il vecchio judoka, … un toro di uomo con una faccia rotonda e occhi lucenti. Poteva camminare senza far rumore malgrado due ginocchia lesionate. Quando toccava i suoi allievi con le sue dita svelte e agili, la carne si squagliava. Tuttavia appariva così a suo agio che spesso sembrava che non facesse nulla mentre toccava. Parlava della gentilezza come di un tipo di rispetto verso se stessi, un rispetto che estendeva anche alle radici dell’umanità. Nondimeno, aveva la capacità di lanciarvi per la stanza senza un momento di esitazione (vedi: l’intervista di Dennis Leri con Moshe sulle arti marziali, nel Feldenkrais Journal N°3). La prima volta che Moshe Feldenkrais mi toccò in una delle sue “lezioni”, seppi che le sue mani erano incomparabili. Mi fece sdraiare su un tavolo basso con le ginocchia sul pavimento e il sedere in aria. Moshe spinse delicatamente sulle mie anche. Erano congelate. Questa era veramente l’essenza del mio problema. Avevo sofferto di mal di schiena e di rigidità per anni prima di allora. Le dita delicate di Moshe sondavano in profondità vicino alla base del mio cranio. Quindi mosse le mie spalle e costole con tale leggerezza che non sentii resistenza. Quando tornò con le sue mani sul mio bacino non ero consapevole del cambiamento. Con entrambe le mani premette leggermente in giù sul bacino in modo da allungare la spina dorsale. Fui costretto a fare un respiro profondo. Mi diede una pacca leggera sul sedere. Il bacino oscillò a destra e sinistra con una libertà che non avevo mai sperimentato prima. Che differenza quando mi misi in piedi e cominciai a camminare! La mia schiena, le spalle, le anche e le gambe sembravano oliate, mobili in modo incredibile. Mi sentivo eretto e solido sulla terra, come se avessi una forza che non avevo mai saputo di avere. Quella notte sognai che stavo guidando una minuscola auto Volkswagen, uno di quei piccoli maggiolini. Un enorme camion semiarticolato mi spingeva sulla coda. Era un’espressione della sua forza: il grosso camion era Moshe. Ma quella forza veniva da una fonte diversa da quella che si potrebbe pensare. Era una conseguenza diretta della sua delicatezza.

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